Introduzione Caterina Albana

Le vicende del ’21: il “risveglio popolare” stroncato dal fascismo

La ricerca di Piero Bovaro sull’esperienza socialista di S. Piero Patti nel primo dopoguerra

 

di Caterina Albana

 

 

Ho letto il lavoro di ricerca di Piero Bovaro[1] con molto ritardo, solo nel 2009, pur avendone sentito parlare sin da quando studiavo al liceo, negli anni ‘70. Si tratta di uno studio fondamentale per comprendere le vicende del primo Novecento non solo a San Piero Patti, ma nell’intero Paese[2]. L’esperienza socialista avutasi a San Piero tra il 1920  ed il 1921 e la sua drammatica e violenta sconfitta da parte del fascismo rispecchiano fedelmente le vicende che l’intera Italia viveva in quegli anni. Si tratta del passato che, venticinque anni dopo, giovani come Peppino Gorgone, Peppino Albana e tanti altri, conoscevano bene e cui si richiameranno costantemente: quello del ’21 era stato il primo tentativo di risveglio delle classi popolari dei loro luoghi natali, un tentativo che era fallito nel primo dopoguerra a causa del fascismo, ma che loro, radicalmente antifascisti, si impegnarono a far rivivere nel 1946, riuscendo, nelle mutate circostanze del secondo dopoguerra, a portarlo al successo.

Ripropongo qui di seguito la mia “scheda di lettura” sulla tesi di laurea di Piero Bovaro, lieta che finalmente essa sia integralmente disponibile in formato digitale per tutti coloro che vorranno leggerla..

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Università degli studi di Messina, Facoltà di Lettere e filosofia, a. a. 1972-73

 

Piero BOVARO, Un comune socialista della prov. di Messina nel primo dopoguerra: San Piero Patti (1920-1921)

 

 

Introduzione. In un linguaggio tipico degli anni Settanta, di chiara impronta marxista,  l'introduzione annuncia uno studio basato fondamentalmente su testimonianze orali e cronache giornalistiche (periodici provinciali in particolare), a causa della mancanza di documenti scritti. Si fa cenno a dei documenti, per es. del notaio Vincenzo Beninato o del dott. Salvatore Aiello, che però sarebbero andati distrutti ad opera dei familiari degli interessati nel timore di perquisizioni, o a causa delle stesse perquisizioni, o durante incendi, ecc.; si parla anche delle caotiche condizioni di molti archivi.

Dall’esame dei periodici, in particolare quelli di orientamento socialista, comunista e cattolico, l’autore ricava un quadro d’informazione che gli consente di comprendere il contesto degli eventi da ricostruire.

Le testimonianze orali, rintracciate grazie a padre Carmelo Apostolato, sono quella di Salvatore Aiello e di sua sorella Nazzarena (colloquio registrato di quest’ultima); è invece scarsa la documentazione reperita, salvo alcuni appunti dello stesso Aiello e di Sebastiano Mastrantonio, il sindaco socialista. Le ricerche si sono rivolte anche ai “meno in vista” e persino a canti popolari; l’autore ha consultato i verbali delle riunioni del Circolo dei Civili, nonché le delibere del consiglio comunale.

Il lavoro si articola in tre capitoli:

1.      Principali avvenimenti sul piano nazionale e regionale tra il 1919 e il 1922, struttura socio-economica di S. Piero Patti e ritorno dei reduci.

2.      La nascita e la rapida diffusione del movimento socialista (a S. Piero, ndc);

3.      La gestione socialista del Comune e la reazione fascista (con il conseguente fallimento dell’esperienza socialista, ndc).

 

1^ parte.  La fine della guerra delude le aspettative di molti, si creano i presupposti per il successo di PSI e PPI e le condizioni che favoriscono l’esperienza proletaria.

Nascono i Fasci di combattimento, ostili ai socialisti. Il governo Nitti vara (settembre ‘19) un decreto per l’occupazione delle terre incolte: questo processo è ormai in corso e si intensifica. Nelle elezioni amministrative del ‘20, grandi successi di PSI e PPI. La borghesia comincia a reagire, affida al fascismo la tutela dei propri interessi, approfitta delle divisioni fra i socialisti. Nel gennaio del ‘21 nasce il PCI. L’opinione pubblica, stanca di disordini, comincia ad approvare i fascisti. Questi, alla fine del ‘22, conquistano il potere. L’occasione di una svolta sociale radicale è fallita. L’autore conduce un’analisi del fallimento socialista, sulla scorta delle note tesi di studiosi come Salvatorelli, Chabod, De Felice, Arfé, ecc. (divisioni interne al socialismo, suo radicamento solo al Nord, incapacità di dirigere l’improvvisa spinta rivoluzionaria di operai e contadini, prevalenza dei moderati, ecc.).

In Sicilia, le tensioni sopra esposte si fondono con i problemi secolari tipici dell’Isola e delle masse contadine siciliane. Il rientro dei reduci e la loro voglia di cambiamento mutano il quadro. L’autore  si avvale di un testo di Luisa Accati (Lotta rivoluzionaria dei contadini siciliani e pugliesi nel 1919-20), uscito su Il Ponte, ottobre 1970, e fornisce dati sulle occupazioni delle terre, soprattutto nella Sicilia Occidentale. La condanna della guerra e dei combattenti, operata dai socialisti, aliena loro le simpatie di molti, che si rivolgono quindi al fascismo. Dopo le vittorie socialiste  nelle elezioni amministrative, i fascisti siciliani passano a metodi più aggressivi. Anche nel PSI siciliano vi sono divisioni; nel Messinese, molte sessioni passano, nel ‘21, con il PCI. Iniziano gli assalti fascisti. S. Piero Patti è colpita con Comiso, Noto, Vittoria, Milazzo, Messina, ecc. Ciò determina una forte flessione di consensi elettorali. L’analisi è condotta sulla scorta dei testi di Accati (cit.), Miccichè (1970, in Movimento operaio e socialista), Licata (1965, in Aevum), Renda (1956), De Felice (1968), Mack Smith (1971).

 

Veniamo dunque a S. Piero Patti. Si parte dalla descrizione geografica e socioeconomica: gli alti redditi della coltura del nocciolo (ben 1200 ettari, dati in D’Urso, 1968), le misere condizioni dei contadini. L’atavica rassegnazione dei contadini induceva i socialisti a ritenere questa zona “restia ad ogni sorta di organizzazione proletaria” (Fascismo - Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, Milano, ed. Avanti!, 1963, citata a pag. 66). L’autore analizza dei dati sui noccioleti e la loro alta resa in termini di ricchezza per la “classe padronale”, ricavati in gran parte da Stancanelli, La coltivazione del nocciuolo, Acireale, 1914; i più interessanti sono questi: a) il fatto che il prezzo della nocciola è triplicato rispetto a cinquanta anni prima, pur essendo aumentata la produzione; b) l’alta resa dei noccioleti a fronte della poca spesa, quindi la conduzione diretta, senza colonia parziaria, ma solo con i campieri[3]; c) l’assunzione dei lavoratori “a giornata”, con donne e ragazzi - gli unici soggetti assunti per la raccolta - pagati la metà. Vi è anche una tabella (pag. 77) da cui si ricavano altri dati molto interessanti: nel 1910, una donna è pagata £ 0.70, un uomo 1.50 o 2.0; un ettaro di noccioleto comporta una spesa di £ 168.9, un introito di £ 713, con un guadagno di £ 544.1.

L’alta redditività dei noccioleti ha favorito il frazionamento della proprietà e creato un ampio ceto di medi e piccoli proprietari: questo, però, va a scapito dei braccianti, che i piccoli proprietari tendono a sfruttare di più; essa – secondo l’autore - spiega anche la pigrizia imprenditoriale dei ceti possidenti. Questi ceti vogliono quindi la conservazione sociale, nient’altro. Una istituzione li rappresenta a S. Piero: il Circolo dei Civili, fondato nel 1853 (pag. 83). Il circolo si prefigge alti scopi di “elevazione intellettuale” (delibera n. 1, del 22.03.1914, cit. a pag. 83), ma di fatto serve solo a far passare il tempo agli iscritti. L’ammissione è di fatto preclusa alle classi lavoratrici. In questo circolo risiede chi comanda nel paese, come dimostra l’avvicendarsi dei sindaci, che, per un secolo intero (1820 - 1920), sono tutti membri di questa associazione.

L’autore passa a descrivere tre fasce agrarie, la vita dei contadini ed i loro insediamenti, nelle frazioni: mentre nella parte del comune priva di noccioleti (prima fascia, verso il mare, ndc) ci sono forme di colonìa, non è così nei noccioleti (seconda fascia), per quanto si è appena visto.

L’autore descrive forme di solidarietà fra i braccianti, il tempo trascorso insieme, la condivisione di lievito e latte. La mezzadria appartiene alla terza fascia, le aree seminative sono più in alto. Il bracciante-mezzadro è quindi la figura più diffusa (pag. 92), con una forza contrattuale molto bassa, isolato dal  mondo, in balìa del capriccio dei possidenti, cui è persino riconoscente, poiché gli danno lavoro. L’autore cita undici canti popolari che ha raccolto (pag. 94), in cui non c’è mai cenno a forme di ribellione.

Per sopravvivere i contadini non possono limitarsi alle giornate nei noccioleti, ma si accaparrano pezzi di terra (seminativi) a mezzadria, da cui ricavare il grano. Diventano coloni. Essi devono persino corrispondere ai padroni il “terraggio”, una specie di regalo fatto al  padrone, per accattivarsene la simpatia. Il contadino è di fatto un servo a totale disposizione del padrone, un “servo della gleba” (lo scrive Aiello, cit. a pag. 100).

Gli artigiani stanno appena meglio dei contadini, ma sono danneggiati dall’iniqua distribuzione della ricchezza. Questo quadro complessivo spiega l’elevata (ma non facile) emigrazione verso l’estero. Le due associazioni di lavoratori esistenti sono apolitiche: “La società agricola” e la “Società operaia di M. S.”, fondata, quest’ultima, nel 1870 da reduci garibaldini (pag. 104), sempre esponenti delle classi alte e, quindi, da loro controllata. Di fatto, nessuna idea, di Bakunin o Marx, riesce a raggiungere il proletariato sampietrino. La società Operaia sampietrina non partecipa al movimento dei Fasci[4], che invece coinvolgono comuni vicini come Patti, Brolo, Naso, Floresta, Sinagra (qui si cita Cerrito, Il processo di formazione e lo sviluppo dei Fasci (..) nella provincia di Messina, in Movimento operaio, nov.-dic. 1954), anche per gli errori dei socialisti messinesi.

Le idee socialiste arrivano dunque a S. Piero per altre vie: con gli studenti universitari, figli di artigiani o piccoli borghesi, che, a Catania e Messina, incontrano docenti del calibro di  Salvemini, Pascoli, Marchesi, Ciccotti (pag. 109). Sono: Giovanni Pirri, Antonino Corica (medici), Angelo Gugliuzzo Paleologo, Angelo Gugliuzzo Fazio (matematico, giornalista), Vincenzo Beninato (notaio). Non danno vita ad un gruppo, ma manifestano le loro idee apertamente.

Ed è il momento in cui arriva la prima guerra mondiale. L’autore non manca di segnalare lo scarso patriottismo del circolo dei Civili, che, ad un locale comitato di soccorso per le famiglie dei richiamati, destina solo 50 lire, a fronte delle 150 che spende per le carte da gioco (delibera del 25.7.1915).

La partenza di tanti braccianti non è peraltro di gran danno ai possidenti (si tratta di rinunciare a quei lavori pesanti che, come si è visto, sono poco frequenti), mentre lo è per le famiglie contadine. Si profila, anche a S. Piero, un nuovo ruolo delle donne contadine.

I reduci sono uomini profondamente cambiati: la guerra li ha fatti uscire dalla chiusa realtà del paese, li ha messi a contatto con nuove idee. La fonte principale di Bovaro è qui il diario di Sebastiano Mastrantonio, il futuro sindaco socialista (ma viene citato anche Nino Tricoli). Questi uomini hanno a volte veri e propri contatti con esperienze socialiste, ma è più spesso la stessa esperienza della guerra a farli maturare: dall’avversione verso il massacro, all’accoglienza delle tesi di chi quel massacro aveva sempre osteggiato, il passo è breve. C’è chi aderisce alla Associazione nazionale combattenti (Bovaro presenta quindi frequenti citazioni dalla rivista Il combattente, edita a  Messina, dal marzo 1919). E’ chiaro, però, che il combattentismo - espressione di tutte le classi sociali - non è in grado di soddisfare le esigenze di palingenesi nutrite da tanti reduci lavoratori, ovvero proletari. Nelle elezioni del novembre 1919 si consuma la rottura tra i reduci sampietrini e l’Associazione. Essi vogliono di più.

 

 2^ parte.  L’autore cita V. A. Papa, Guerra e terra, 1915-18, in Studi storici, anno X,, n. 1, 1969, per illustrare le promesse che erano state fatte ai fanti contadini ed i piani che avrebbero dovuto realizzarle. La fine della prima guerra mondiale, però, come sappiamo, genera enormi problemi economici ed i reduci fanno fatica a reintegrarsi (insomma, la situazione, ben lungi dal migliorare radicalmente, come essi hanno sperato, peggiora persino!). Emerge una crescente insofferenza verso il privilegio (per es., di fronte alla gestione del razionamento, che sembra favorire i benestanti e i loro protetti).

Nasce intanto anche a S. Piero una sezione del PPI[5] (per opera di vari artigiani, fra cui Cosimo Lo Presti, che la presiede, pag. 149), ma subito Bovaro precisa che ebbe scarsa presa sui contadini; in un’ampia sezione dedicata a questo partito ed alle sue mosse nel Messinese, egli chiarisce che spesso il clero locale era troppo legato ai borghesi possidenti, per schierarsi accanto ad una forza che si riproponeva di sostituirli; inoltre, il PPI appariva troppo moderato a chi, aperti da poco gli occhi sulla realtà politica, ne esigeva una radicale trasformazione.

Sono invece dei reduci, membri insoddisfatti dell’Associazione combattenti, coloro che, nell’Arabite[6], danno vita ad un gruppo di socialisti, guidato da Peppino Aiello (sulla scia del fratello Salvatore, autore di opuscoli e articoli critici, forte delle sue esperienze di viaggio come capitano di lungo corso)  e Nino Laguidara (nati entrambi nel ’99). L’intera famiglia Aiello (il padre Santi e le sorelle Nazzarena e Nina) si dedica alla lotta. La venuta a S. Piero di Francesco Lo Sardo[7] fa da  detonatore: nasce un gruppo di socialisti (sia pure con toni e aspirazioni di tipo anarchico, per l’intenso desiderio di radicale rinnovamento sociale, pag. 155, con rinvio a Cerrito, La rinascita dell’anarchismo in Sicilia, 1956).

Bovaro si dedica quindi ad analizzare i caratteri del socialismo nel Messinese, il fatto che le aspirazioni contadine sembrino aver fatto proprio Marx, senza conoscerlo.

Le ripetute visite di Lo Sardo a S. Piero portano gli ex combattenti nella Società Agricola. C’è un clima mutato, c’è coesione fra i ceti proletari.

Bovaro rileva intanto che San Piero risulta avere, in quegli anni, 6003 abitanti, di cui 2150 braccianti, 280 coloni, 125 coltivatori diretti; 55 sono i medi e grandi proprietari, 319 i piccoli proprietari. In sintesi, i nuovi luoghi di dibattito sono: la sez. Combattenti, il PPI, la rinnovata Società Agricola (che ha sede nel palazzo Orioles ed è centro dell‘organizzazione socialista); la Società Operaia, invece, resta apolitica, cioè legata alla classe possidente.

Accanto agli Aiello, spesso assenti per lavoro o studio, emergono nuove figure, tutte di estrazione popolare: Sebastiano Mastrantonio, marmista; Nino Tricoli, bracciante; Vincenzo Schepis, fabbro. Ha un ruolo di rilievo la stampa messinese, in particolare  Il riscatto (Bovaro cita articoli di C. Marchesi, O. Basile, pagg. 171 e sgg.), che svolge propaganda e indottrinamento, sulla scia dell’entusiasmo per la rivoluzione russa.

A S. Piero c’è tensione: i contadini si assembrano spesso, ci sono frequenti riunioni della Società Agricola, improvvisati comizi. La borghesia si allarma.

Il 25 gennaio 1920 Lo Sardo tiene un comizio in piazza Gorgone[8], inaugurando la bandiera rossa della lega combattenti, ormai socialista. Grandissima folla, nessun incidente, ma è una sfida, proprio di fronte al circolo dei Civili. La stessa notte vengono operati degli arresti (di Santi Aiello, Vincenzo Schepis, più noto come Vincenzicchio, per la piccola statura, e Giuseppe Di Blasi, bracciante), vengono fatte delle perquisizioni, viene denunciata per oltraggio Nazzarena Aiello. I possidenti hanno però sottovalutato la solidarietà nuova fra proletari. Il giorno dopo, lunedì 26, è proclamato uno sciopero generale, una folla raggiunge la caserma, gli arrestati vengono rilasciati. L’episodio ha ampio risalto ne Il Riscatto e genera persino una interrogazione parlamentare dell’on. Lazzari (ne dà conto Il Riscatto del 3.3.1920). Nasce quindi la vera e propria sezione socialista.

A livello provinciale, peraltro, la svolta radicale predicata a parole è smentita dal rifiuto di far nascere i soviet[9].

Una nuova imponente riunione si ha il 28 marzo 1920, con grande concorso di folla. Nasce una nuova unica sede per l’Agricola, la camera del lavoro, la sezione socialista e gli ex combattenti. I socialisti hanno 30 tesserati, ben 50 sono le iscritte alla sezione femminile. C’è una forte unità politica, mentre i possidenti vorrebbero avere di fronte solo unioni di categoria. I possidenti, a ben vedere, resistono: anche se i lavoratori ottengono la giornata di otto ore, pagata £ 1 ad ora (e le donne una paga di £ 6 al giorno), i proprietari studiano vari cavilli per vanificare queste conquiste. Non bisogna però guardare all’esito quantitativo di esse, ma a quello qualitativo, che è tutto politico: i possidenti devono misurarsi con un fronte compatto e organizzato, che ha potere contrattuale. Hanno luogo “scazzottate” fra i giovani dell’uno e dell’altro schieramento, si parla di “guardie rosse”, di “milizia bolscevica” (i capi delle “guardie rosse” sono Salvatore Romano e Peppe Lanzillotti). Nasce una cooperativa di consumo intitolata a Giuseppe Mazzini. Una mossa analoga, ma tardiva, dei possidenti è la cooperativa intitolata a Giovanni Gorgone.

Il 1° maggio, festa con bandiere rosse nel paese, canti, tanti contadini, oratori giunti da Messina. Si pensa alla conquista delle terre, ma senza fretta (o, forse, senza le idee chiare su come farlo). C’è un enorme entusiasmo.

I contrasti con altre forze politiche, in provincia, soprattutto col PPI, sono assenti a S. Piero, dove i socialisti trionfano e i possidenti sono sulla difensiva. Semmai, è il socialismo a venarsi della nostalgia di un cristianesimo primitivo e solidale, tradito dal clero sottomesso ai borghesi (pag. 210, episodio del funerale di un compagno, commentato su Il Riscatto, del 16.10.20). Se intendo bene l’autore, mi sembra che egli non dia un peso di rilievo a queste venature nelle vicende di S. Piero, ma il fatto che queste vicende coinvolgano molte donne, e che le donne fossero più vicine alla fede, significa per lui che la religiosità si intreccia, in qualche modo, con le rivendicazioni sociali.

Bovaro passa infatti a considerare il ruolo della donna ed i cambiamenti dovuti alla guerra, rivela che l’impiego massiccio di donne è visto talvolta in modo negativo, come una sorta di crumiraggio (pag. 215, da Il Combattente), ma per lo più è invece giudicato in modo positivo. Si torna ai rapporti fra Chiesa e socialismo, per rivelare l’arrivo a S. Piero di membri della Chiesa Evangelica, evidentemente più benevola, rispetto alla Cattolica, nei confronti dei socialisti. L’azione di proselitismo battista (pastori Melodia e Biagi)  riscontra successo, il pastore Biagi è molto vicino ai socialisti e sarà tra gli obiettivi contro cui si scateneranno più tardi i fascisti.

Il 20 maggio 1920 inizia il processo per i fatti del 26 gennaio (pag. 221). Sia pure con alcune lievi condanne, le sentenze (in particolare, l’assoluzione di Santi Aiello; difensori gli avv. Saggio, Ciraulo e Lo Sardo) deludono i possidenti sampietrini. L’autore rileva l’importanza del socialista Lo Sardo, vera bestia nera della borghesia messinese. Rileva anche che l’azione socialista nel messinese, con poche eccezioni, non assume toni antipatriottici. Ma certo toni patriottici in chiave antisocialista sono quelli della borghesia assediata; in altre parole, accusare i socialisti di essere antipatriottici sarà – com’è noto - una delle tattiche della reazione fascista, un mezzo per alienare ai socialisti le simpatie degli ex combattenti e di tanti italiani.

Il 17 luglio 1920 tiene un comizio a S. Piero l’on. Pietro Rabezzana, del collegio elettorale di Torino[10]. Rabezzana afferma: “S. Piero Patti è una piccola Torino proletaria” (pag. 232, da Il Riscatto, 25.07.20). Il giudizio rivela un dato di fatto, S. Piero è percepito come una “macchia rossa” nel Messinese. E infatti Mastrantonio, Tricoli e Aiello si recano spesso a parlare nelle sezioni di Patti, Patti Marina, Librizzi. Gli esponenti socialisti dei piccoli comuni portano un’aria nuova al Congresso Socialista della Provincia di Messina, cui partecipano l’11 e il 12 settembre del ‘20 e nel quale assumono incarichi di rilievo (Mastrantonio è presidente della prima giornata, Aiello segretario della seconda). I tre sampietrini sono designati a candidarsi per il Consiglio provinciale di vari mandamenti; il congresso promuove un’azione che diffonda le cooperative; sposa la linea massimalista, parla dell’invasione dei feudi.

L’occupazione delle terre nel Messinese è un fenomeno circoscritto, anche per le caratteristiche agrarie della provincia (pag. 242). Il PPI vi è sostanzialmente ostile e si richiama al decreto Visocchi[11], rileva che i latifondi sono pochi e limitati all’alta montagna, che la misura avrebbe causato il panico in una popolazione con molti piccoli e medi proprietari.

Sono quindi i soli socialisti a volere l’occupazione delle terre, in un convegno a Mistretta (10 ottobre 1920), area interessata dal fenomeno del latifondo mal coltivato (appunto uno dei requisiti previsti dal decreto Visocchi per l’esproprio temporaneo), in cui si decide l’occupazione di alcuni feudi di Mistretta, appunto, ma anche di S. Teodoro, Tortorici, ecc., tra il 20 e il 30 ottobre. Limitato nella portata, il fatto allarma tuttavia moltissimo i possidenti, che si sentono abbandonati dall’autorità  e decidono di abbandonare la strategia dell’intimidazione “legale” (ovvero affidata ai tribunali e ai carabinieri …) per cercare altre soluzioni.

Non accadono però occupazioni a S. Piero, sia per le condizioni agrarie sia perché i socialisti sampietrini decidono di impegnarsi per la conquista del Comune.

3^ parte. Mentre non diminuisce la crisi economica postbellica, indubbiamente crescono i vantaggi dei lavoratori, grazie alle lotte dei mesi precedenti: la loro paga giornaliera è passata da 4 a quasi 10 lire. L’allarme, la frustrazione dei possidenti crescono. Essi cominciano ad organizzarsi, indirettamente aiutati dal clero e dal PPI, che concorrono a combattere i socialisti.

In effetti, i socialisti hanno visto crescere sensibilmente i loro consensi: nella provincia, sono passati dai 2400 voti alle politiche del ’19, ai 7000 nelle elezioni provinciali; in queste ultime, avranno la maggioranza a Nizza di Sicilia e a S. Piero (783 voti contro 256 dell’altra lista). Tuttavia, nel Messinese il successo è inferiore rispetto all’Agrigentino o al Siracusano, a causa, secondo l‘autore, della maggiore opposizione di preti e borghesi (p. 258).

Il successo è più marcato dove il socialismo ha conquistato i contadini, veri protagonisti del risveglio. Bovaro torna a citare  Il Riscatto del 30.10.20 (pagg. 259-262), con le note sulla “rossa” San Piero, roccaforte socialista (e, per Il Riscatto, “fiamma rossa”, p. 276, o “piccola Torino“, p. 278) dove, in attesa del voto, un solco netto divide socialisti e “civili” (i possidenti, legati al citato Circolo, detto anche Casino di compagnia). Si rileva che il disorientamento dei possidenti è dovuto anche al fatto che si trattava di una borghesia antiquata, adagiatasi nel privilegio, priva di moderno spirito imprenditoriale. Era stato a lungo sindaco Antonio Scaglione, che appare la perfetta incarnazione di questa visione; visione che è criticata anche dagli stessi possidenti, tanto che il 3 maggio egli si dimette ed arriva a San Piero un commissario prefettizio, cosa che sancisce la sconfitta dei possidenti (p. 270). Questi non mancano di ricorrere a vecchi trucchi ostruzionistici, come la ritardata consegna dei certificati elettorali (p. 274), il rinvio delle elezioni (p. 275). Il clima è surriscaldato, arrivano 60 guardie regie.

Bovaro riporta un ampio stralcio da un’orazione degli avversari (ne L’imparziale del 9.11.20, a firma F. Fazio) contro i mali del bolscevismo. Il giorno delle elezioni, la notte i compagni sorvegliano le urne, poi è un trionfo. Impauriti, i possidenti si schierano intorno al Circolo armati, ma i lavoratori che manifestano per la vittoria evitano la piazza Gorgone, ove il Circolo ha sede. E’ davvero una gioia immensa. Gli oppressi di pochi mesi prima hanno in mano il potere … sugli oppressori, e legalmente! Si ripropongono: tassa di famiglia progressiva, tasse sui generi di lusso, aumento delle tasse sui commerci e dell’imposta fondiaria, potenziamento e diffusione delle cooperative, tasse ed espropri sui fabbricati oggetto di speculazioni.

La prima riunione del nuovo consiglio comunale è il 30 novembre 1920, la prima attenzione va al risanamento del bilancio: la tassa di 100 lire su pianoforti e biliardi privati indica il desiderio di far pagare la crisi ai ricchi. Vengono poi tasse sulle case tenute vuote, sulle case con troppe stanze, sui domestici, sulle rivendite, sulle vetture di lusso, sui monumenti o cappelle al cimitero; vengono votati consistenti sussidi per le scuole, essendo l’istruzione il principale mezzo di affrancamento sociale. Viene creata una Congregazione di carità. Si provvede a creare loculi per i defunti non ricchi. Non viene appaltata la riscossione del dazio.

Fa intanto la sua comparsa, a Messina, il fascismo, in occasione del Congresso Regionale Socialista tenutosi in quello stesso novembre, con bastonature e ferimenti (p. 301) dei delegati. Lo stesso si verifica nel Siracusano. Il fascio di combattimento è stato fondato nell’ottobre del ‘20 dall’avvocato Gennaro Villelli. Come si sa, questo nuovo fenomeno trova di fronte a sé un partito socialista diviso, già nello stesso citato Congresso. Cessa le pubblicazioni Il Riscatto e nasce La voce dei comunisti (19.2.1921). I socialisti di San Piero sono fra i secessionisti, che sposano la linea comunista, e questo inizia a creare dei problemi, sia pure lievi. Bovaro, citando Marchesi (p. 309-311), mette in rilievo che le difficoltà interne ai socialisti ringalluzziscono una borghesia che si era creduta spacciata e invece si riscopre viva e in grado di difendersi.

Nino Tricoli è più volte minacciato con le armi, diventano frequenti gli scontri fra “guardie rosse” e rampolli della borghesia. Ma i possidenti locali possono poco, occorre rivolgersi al fascio di Messina. Nasce una sezione del Fascio a S. Piero il 17 aprile del ‘21, capeggiata da Peppino Anzà e dal cav. Scaglione, e si ha una manifestazione nel paese, con la bandiera del Circolo dei civili. I neonati fascisti scorrazzano per le strade, minacciano, bastonano. Sulla Gazzetta di Messina si celebra l’esordio dei fascisti nella “piccola Torino rossa” (19.4.1921, pag. 315).

Il 19 aprile, i fascisti di tutta la provincia assaltano, a San Piero, le sedi dei socialisti nel palazzo Orioles e bruciano in piazza Duomo i ritratti di Lenin, Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht, unitamente a quelli di Garibaldi, Mazzini e del re (!). Il 21 aprile, la citata Gazzetta titola: “Le agitazioni di San Piero Patti - La Camera del Lavoro incendiata”. L’assalto al Municipio è meno fruttuoso: i compagni non si fanno trovare, i fascisti si limitano (!) a bastonare qualche passante. Il giorno dopo tornano, perquisiscono case, trascinano al Circolo sei membri dell’amministrazione e li costringono a firmare le dimissioni e a esibire sul petto una vistosa coccarda tricolore, a partecipare ad un corteo patriottico, che si conclude con orazioni fasciste presso la Società Operaia.

Questo assalto fascista è il più clamoroso fino ad allora avvenuto nel Messinese ed è celebrato dai giornali fascisti. Che hanno fatto le forze dell’ordine? Proteggono … i fascisti (!), danno loro la possibilità di agire (lo rivela la citata Gazzetta).

L’assalto del 19 aprile 1921 è solo il primo di una lunga serie, che di fatto restituisce il potere ai possidenti: i contadini non scendono in paese, i socialisti devono nascondersi, il movimento dei lavoratori è disperso. Reagisce alla violenza un opuscolo di Salvatore Aiello, ormai perduto, in cui egli attacca il patriottismo opportunistico dei neonati fascisti sampietrini. L’autore sostiene infatti che il fascismo sampietrino non è autentico fascismo e nemmeno patriottismo, ma pura e semplice difesa degli interessi dei possidenti. Il patriottismo si era infatti incanalato nel socialismo.

Il punto di vista fascista è ben espresso da una corrispondenza di Diego Messina su Azione fascista (p. 330) del 7 maggio 1921. Vi si afferma che l’amministrazione socialista (di S. Piero, s’intende) era “nata per equivoco”, era inutile anzi dannosa, quindi da non rimpiangere ora che era stata sciolta; i bravi lavoratori un tempo tranquilli si erano lasciati abbindolare da dei malviventi che lodavano la Russia e promettevano una vita senza fatica; per fortuna altri avevano reagito, forse tardi, all’azione ammaliatrice dei socialisti. Vi si critica l’azione della cooperativa, insinuando che abbia derubato i soci. Tuttavia, secondo Bovaro, questi scritti non hanno avuto un reale effetto sulla popolazione; questo effetto lo ha l’azione violenta dello squadrismo appoggiata dalle forze dell’ordine, che ha di fatto posto San Piero in stato d’assedio. Il movimento socialista entra in crisi, anche perché alcuni attribuiscono la violenza fascista alla costituzione della sezione del Pcd’I[12], ovvero all’abbandono del socialismo a favore del comunismo. Mastrantonio e Aiello non si candidano più e si decide di far convergere i voti sui socialisti. Se è vero che i risultati elettorali segnano una flessione, non si tratta però di un grande risultato. L’autore riporta l’esito del voto[13] a San Piero, che vede comunque vincere la Sinistra (lista Falce, martello e libro, 390 voti), la quale stacca di 100 voti i fascisti (lista Bandiera, 291 voti), mentre le altre liste arrivano insieme a 89 voti. Inoltre il voto socialista è compatto su quattro nomi (Vella, D’Agata, Vacirca e Lo Sardo), segno di un’organizzazione elettorale che funziona malgrado minacce e clandestinità (è citato l’episodio di una fuga sui tetti, dalla casa di Di Blasi in cui si riunivano segretamente i socialisti, p. 343). Un confronto fra i dati delle varie tornate elettorali dimostra che solo un’ottantina di elettori hanno cambiato bandiera, che il calo dei voti è dovuto all’astensione e questa al clima di violenza, anzi, di “guerra civile”, come recita una corrispondenza dell’8.7.21 su Lega Provinciale: “Non sperare nulla di questo disgraziatissimo paese. Siamo stati, siamo e saremo nella continua guerra civile” (p. 345).

Intanto a San Piero, il 10 luglio, ecco l’inaugurazione dei gagliardetti del Fascio. Parlano Giuseppe Anzà, presidente del Fascio, ed Eugenia Forzano, del Fascio femminile, madrina del gagliardetto; poi Tano Paleologo, dell’avanguardia studentesca, e Paolina Paleologo, madrina del gagliardetto dell’avanguardia, tutti assai applauditi.

L’autore si conferma nella tesi che il fascismo sia stato, a San Piero, figlio d’un’esplosione improvvisa, operata dalla classe possidente a tutela dei propri privilegi, come indica il fatto che il Fascio abbia sede ….. presso il Circolo dei civili! E sono significative le parole con cui rassegna le proprie dimissioni dal Circolo l’unico socio socialista, socio onorario, trasferitosi intanto a Milano, il dott. Giovanni Pirri (citate a p. 351). Il Circolo non accetta le dimissioni e reagisce espellendo Pirri (delibera dell’11.05.1921) come indegno.

Si viene dunque all’episodio del 4 settembre 1921, quando il diverbio fra un possidente ed un ex consigliere socialista, il contadino Salvatore Loiacono, diverbio verificatosi nel corso di una battuta di caccia, sfocia in una rissa quando i due si incontrano nel paese. Intervengono i carabinieri che arrestano Loiacono, trovato in possesso di un coltello, e rilasciano il possidente, armato di rivoltella ma con porto d’armi. Ecco il brano, con le parole di Bovaro:

 

Nel settembre del ‘21 una delle tante provocazioni sfociò in grave fatto di sangue che avrebbe avuto pesanti ripercussioni sulla storia del movimento dei lavoratori a S. Piero. Un diverbio, sorto durante una battuta di caccia di alcuni fascisti, tra uno di essi [..] e un contadino ex consigliere comunale, Salvatore Loiacono [..] sfociò in rissa, allorché, domenica 4 settembre, il contadino scese in paese. Intervennero i carabinieri, che trattennero in arresto il contadino trovato in possesso di uno dei soliti coltelli, indispensabili nella vita in campagna, mentre rilasciarono il fascista, armato di rivoltella, ma fornito di porto d’armi. Nel pomeriggio, durante la traduzione dell’arrestato alle carceri di Raccuja, si formò un assembramento di contadini sul viale Margherita (oggi via M. Rapisardi, ndc); sul posto si trovarono anche numerosi fascisti armati: l’atmosfera divenne incandescente, scoppiò un tafferuglio e i fascisti fecero fuoco ripetutamente. Due contadini, Marmorio Nicolò di anni 43 e Lauria Carmelo di anni 54, secondo molte testimonianze difficilmente etichettabili come “bolscevichi”, vennero uccisi; i feriti, tra cui un bambino di otto mesi, colpito in un occhio mentre era in braccio alla madre, anch’essa ferita al viso da pallini, furono numerosi. Anche Tricoli, che sembra si fosse precedentemente adoperato ad evitare l’assembramento, temendo appunto degli incidenti, dovette ricorrere alle cure di un medico a Montalbano Elicona. Subito dopo gli incidenti[14], fascisti ed autorità (nota di p. 357: L’istruttoria è stata affidata al pretore Anzà di Raccuja, parente dei fascisti di S. Piero, da Riscossa del 17.9.1921. E ancora: “Il feroce delitto di San Piero Patti. Lavoratori massacrati dai fascisti. Un altro attacco contro l’operato del pretore Anzà, in Riscossa del 22.11.1921, Dalla Provincia - da Ucria.) si impegnarono nel tentativo di far ricadere sui comunisti la responsabilità della strage, minacciando, alterando o non allegando agli atti alcune testimonianze. Contemporaneamente si promuoveva una campagna di pacificazione, per la quale, secondo quanto asseriva la Gazzetta, si tenne una riunione la mattina del 6 settembre nei locali del Municipio, con la partecipazione dell’avv. Villelli, presidente del Fascio di combattimento di Messina, l’avv. Scaffa, membro del Comitato centrale dei fasci, l’on. Viotto del PSU - di passaggio a Messina per affari privati - l’avv. Lo Sardo del PSU, il Commissario prefettizio di S. Piero Patti cav. La Deta e il vice commissario dott. Strino. La commissione così composta ha stabilito che le parti avversarie dovranno far sì che si cancelli l’impressione dolorosa dei luttuosi fatti avvenuti, concorrendo tutti d’accordo alla pacificazione degli animi, specialmente nei riguardi della questione locale (nota di p. 358, Gazzetta 7.9.1921, Verso la pacificazione). Anche il piccolo paese ebbe dunque il suo bravo patto di pacificazione; ma i socialisti sul loro organo non ne accennarono minimamente, continuando anzi ad attaccare i fascisti, che “violando il patto di Roma, non hanno voluto riconoscere l’amministrazione comunale di S. Piero Patti” (nota di p. 359, Riscossa, 17.9.1921). Evidentemente l’accordo fu una semplice mossa tattica dei fascisti, non disposti sinceramente a patteggiare. E’ certo, in ogni modo, che il fatto di sangue fu sfruttato fino in fondo per distruggere la pertinace resistenza del movimento proletario. Gli organi governativi, le autorità di polizia, dopo il primo, breve, periodo di incertezza di fronte alla forza del popolo, tornavano al primigenio ruolo di accaniti difensori dell’ordine borghese, di leve di potere saldamente in mano alle classi del privilegio per l’oppressione degli umili, secondo la più pura tradizione meridionale e col conforto dell’assenso, più o meno velato, del governo centrale. A ragione dunque i socialisti potevano diffidare dell’efficacia delle loro proteste presso il ministro di Grazia e giustizia e presso il procuratore generale, per “l’indegna e delittuosa mistificazione giudiziaria”. “Noi non abbiamo alcuna fiducia in queste proteste. Il processo di S. Piero finirà come quello per i fatti di Brolo, dove l’uccisore della bambina e il feritore di Deriu non si sono saputi e voluti colpire, ed i contadini inermi sono stati condannati e la procura generale ha fatto appello perché non ha trovato abbastanza severa la sentenza contro le vittime! Ora a S. Piero si imbastisce un processo per assicurare l’impunità agli sparatori e ai loro complici e per riversare le responsabilità sui fucilati. Accanto al cadavere di uno dei morti è stato posto un grosso randello! Si cerca di persuadere testimoni a dire falsamente che primi a sparare furono i contadini che erano tutti inermi (..) Il maresciallo, fratello d’elezione dei fascisti con cui andava a caccia ‘liberamente‘, resta sul posto a sviare le responsabilità da sé e dai suoi complici. La macchina della giustizia borghese lavora per stritolare e per salvare i figli di papà. Così si intende la pace di lor signori!” (Riscossa, art. cit., p. 361). Ma la pace per i padroni doveva passare attraverso l’eliminazione della forza organizzata dei lavoratori e (anche senza voler prestare fede alla versione socialista che scagiona i lavoratori dall’accusa di aver tentato di liberare l’arrestato “tanto che nessun incidente avvenne fra carabinieri e leghisti” e secondo la quale “il gravissimo delitto era stato preordinato d’accordo fra il maresciallo di S. Piero, un fascista anche lui, e i fascisti. Le armi erano state in precedenza preparate in una tabaccheria vicina al teatro della strage”:  versione del resto confortata da numerose testimonianze) è indubbio che i fascisti colsero il destro per somministrare agli ostinati contadini una dura e cruenta lezione, che sfruttarono ulteriormente, scatenando, contro alcuni esponenti più in vista del proletariato, l’apparato giudiziario. Nino Tricoli, che godeva di maggiori simpatie tra i contadini, fu il principale capro espiatorio; ma i mandati di cattura pendevano su molti dei dirigenti locali, in tal modo alle persecuzioni dei fascisti si aggiungevano le ricerche delle forze di polizia. La situazione si aggravava sempre più; i capi venivano spietatamente braccati e le masse, minacciate e ricattate in ogni modo, non potevano fare affidamento nemmeno sull’organizzazione provinciale, che pur impegnata in un rinnovato sforzo di riorganizzazione, andava incontro alle proprie, non indifferenti, difficoltà (la “Riscossa”, il quindicinale diretto da Felice Elia, cessava la sua breve attività il 22 novembre 1921, mentre già dal 9 maggio non veniva più pubblicata “La voce dei comunisti”).

 

L’ultima iniziativa dei socialisti documentata da Bovaro è l’acquisto di un terreno finalizzato alla costruzione di una sede e di una scuola o, più che altro, a non arrendersi. I fascisti intanto aggrediscono anche la Chiesa Battista: il pastore Biagi è minacciato, alcuni fedeli bastonati (anche il parroco è un Anzà e suo nipote sembra che abbia simpatie per il fascismo). Biagi viene allontanato e sostituito, ma anche il nuovo pastore viene aggredito; il parroco cattolico, con coccarda fascista, prende parte alla spedizione punitiva. Il pastore è salvato dai carabinieri e, ancora di più, dall’improvviso malore di uno dei fascisti. E’ comunque diffidato e mandato via.

Il cerchio reazionario si chiude: possidenti, clero, forze dell’ordine si schierano sotto l’egida (o dietro il paravento) del fascismo. Dal 18 maggio si succederanno vari commissari prefettizi. Alcuni squadristi sposano signorine di S. Piero. Il movimento socialista si disgrega, si disperde. L’avvento del fascismo al potere porterà ad una diaspora: Santi Aiello se ne va a Palermo, Mastrantonio a Patti, molti altri all’estero (Tricoli - prima latitante, comunque assolto per i fatti del ‘21 - in Argentina; Loiacono in Australia, ecc.). Chi resta è perseguitato: Salvatore Aiello e Vincenzicchio al confino…. Tuttavia, rimarranno 10 tesserati del Pcd’I. E’ la conferma di una fedeltà agli ideali del socialismo (e dell’antifascismo) molto difficile da estirpare.

 

 

 

 

(Questo testo è tratto da Giuseppe Albana, “Risveglio popolare (1944-1946). La rivoluzione repubblicana di San Piero Patti”, a cura di Caterina Albana, edito da Effigi, 2017, Appendice I, pp. 145-167; rispetto all’originale, sono state apportate solo poche e lievi modifiche).

 

 

[1] Piero Bovaro, nato a S. Piero Patti nel 1950, si è laureato a Messina  nel 1973 in Lettere Moderne; ha insegnato per circa dieci anni ed è poi stato preside presso le scuole medie e superiori di Torino, città dove tuttora risiede. E’ autore di numerose pubblicazioni, fra le quali Storia del Novecento, SEI, 2002. La sua tesi di laurea ha avuto notevole risonanza a livello locale: è il punto di riferimento per lo storico Giuseppe Alibrandi, per i capitoli dedicati alle vicende di S. Piero Patti in Alibrandi G., Lotte popolari nel Messinese. Storia del Partito Comunista attraverso documenti d’archivio e testimonianze (1919 – 1931), Editrice Pungitopo, Marina di Patti, 1981;  ne è stata inoltre pubblicata una sintesi su “Storia dei Nebrodi”, a cura di Giuseppe Celona, Pungitopo Editrice, 1987.

[2] Analoga mi sembra l’interpretazione, rintracciata di recente, ma risalente già al 2011, data in proposito dall’amico Pietro Ficarra sul suo sito internet, nel quale ho peraltro trovato una fotografia (di Angelo De Luca) che ritrae insieme i socialisti sampietrini, presumibilmente dopo uno dei tanti arresti subiti (http://www.pietroficarra.eu/wordpress/wp-content/uploads/2017/03/san_piero_patti_storia_e_memoria.pdf) .

[3] Campiere o campiero, s.m., [der. di campo]. – In Sicilia, guardiano addetto nelle zone cerealicole alla custodia del fondo, dei fabbricati, del raccolto e del bestiame, e alla sorveglianza dei lavori agricoli, in Vocabolario della Lingua Italiana, Ist. della Enciclopedia Italiana, fondato da Giovanni Treccani, Roma,

[4] Ci si riferisce qui ai Fasci siciliani, il movimento di impronta socialista ed anarchica, che si è diffuso in Sicilia tra il 1892 ed il 1893 ed è stato stroncato duramente dal governo di Francesco Crispi.

[5] PPI,  Partito Popolare Italiano, costituito il 18 gennaio 1919, fondato e guidato nei primi anni da Don Luigi Sturzo

[6] E’ uno dei quartieri popolari di S. Piero Patti, anticamente abitato dagli Arabi e dalla struttura urbanistica fatta di vicoli stretti ed intrecciati.

[7] Francesco Paolo Lo Sardo, avvocato, esponente di spicco del socialismo messinese, nasce a Naso il 22 maggio del 1871. Fonda il giornale “Il Riscatto”, viene spesso arrestato, si pone, come avvocato, al servizio dei lavoratori. E’ eletto deputato nel 1924 con più di 10.000 voti ed è il primo deputato comunista siciliano. E’ arrestato dal fascismo l’8 novembre del 1926, va in carcere, anche presso la struttura di Turi, dove incontra Antonio Gramsci. Muore in carcere, a Poggioreale, nel 1931 (dalla nota, a cura di M. Pietropaolo, nel sito internet del comune di Naso, www.comune.naso.me.it)

[8] Questa piazza è intitolata ad un personaggio illustre di S. Piero Patti, il medico e scienziato Giovanni Gorgone (1801-1868), professore di anatomia e anatomia patologica presso l’università di Palermo, noto per l’opera di chirurgo ed i numerosi studi; questo studioso diede un contributo anche alla spedizione dei Mille nell’occasione della battaglia di Milazzo. E’ sepolto a Palermo, nella chiesa di S. Domenico.

[9] Si tratta, come si può vedere, delle dinamiche tipiche del “biennio rosso”, presenti in gran parte del Paese tra il 1919 ed 1920, ovvero della contrapposizione netta fra socialisti riformisti e socialisti rivoluzionari.

[10] Pietro Rabezzana, nato a Casale Monferrato nel 1876, è stato eletto alla Camera dei Deputati nella XXV e nella XXVI legislatura del Regno d’Italia.

[11] Regio Decreto Legge 2.09.1919, n. 1633, provvedimenti per l’incremento della produzione agraria, emanato da Francesco Saverio Nitti su proposta del ministro dell’agricoltura, Achille Visocchi. Attribuisce ai prefetti la facoltà di assegnare in occupazione temporanea (per un massimo di quattro anni) terreni incolti o mal coltivati, a contadini organizzati in associazioni o enti agrari. Occorre un permesso rilasciato da una commissione, controllata dal prefetto e composta per metà da proprietari e per metà da contadini. Ha effetti molto limitati, come rivela il fatto che, dopo sette mesi, ha interessato meno di 30.000 ettari. E’ quindi giudicato timido da socialisti come Filippo Turati. E’ seguito da altri interventi analoghi, fino al secondo dopoguerra, il più noto dei quali è il Decreto Gullo.

[12] Partito comunista d’Italia: è la prima denominazione del futuro PCI, Partito Comunista Italiano.

[13] Per le elezioni politiche del 15 maggio 1921

[14] Data la vicinanza della loro casa alla zona, i miei nonni Gorgone furono testimoni diretti non del fatto di sangue, ma del fuggi fuggi generale che si verificò dopo la sparatoria; me ne hanno parlato sia mia nonna, che ricordava bene di aver visto molti allontanarsi di corsa da Santo Pietro e rifugiarsi nei vicoli vicini, sia mia madre, che aveva sentito raccontare i fatti quando era bambina e diceva di aver sentito dire che dalle case sulla piazza, forse proprio dalle case dei Mastrantonio, che erano socialisti, qualcuno aveva tirato dai balconi persino dei vasi di creta sui fascisti, per indurli alla fuga (ndc).

 

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